Ti senti più pragmatique o littéraire?

Giovedì 21 marzo, prima dell’apertura del Salon du livre di Parigi, si è tenuta la terza edizione dei Rencontres de la traduction, appuntamento annuale dedicato al mondo dei traduttori.

In questa occasione ho scoperto di essere un traduttore “pragmatico”.

A uno degli incontri, Traduire au-delà des frontières, è intervenuta Débora Farji-Haguet, traduttrice ed ex-presidente della SFT, la Società Francese dei Traduttori.

Debora si è presentata come traduttrice “d’édition et pragmatique”, rivendicando che si può essere entrambi e soprattutto che si può arrivare alla traduzione editoriale e letteraria passando dalla traduzione pragmatica (rumori dalla sala).

Lei, ad esempio, si è specializzata traducendo per grandi marche del settore del lusso fino a quando un giorno una casa editrice le ha proposto di tradurre un libro sull’orologeria. Oggi al suo attivo ha diverse pubblicazioni nei settori del lusso e dell’arte.

Il nuovo termine pragmatique è nato perché molti traduttori francesi non si riconoscevano nel termine precedentemente utilizzato: technique.

Si parla quindi di traduzione pragmatique per distinguerla dalla traduzione letteraria. Questo aggettivo evita di limitare la traduzione al settore tecnico perché ingloba anche il settore giuridico, economico, finanziario e della comunicazione.

Ma a parte l’esattezza (e la bruttezza) del nuovo termine, abbiamo veramente bisogno di fare questa distinzione?

Debora suggerisce di definirsi semplicemente dei traduttori, come fanno gli avvocati, i medici e in genere tutti i liberi professionisti, senza ulteriori specificazioni.

Alla domanda “che lavoro fai?”, si può candidamente rispondere “il traduttore”.

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